Questo mondo era anche il vostro,
finché non avete smesso di crederci.
Sono nato a Bergamo nel 1950. Ho esposto in varie personali, collettive e rassegne d’arte. In età giovanile ho pubblicato tre raccolte di poesie.
Gli scritti che accompagnano le immagini dei miei più recenti dipinti appartengono all’età che si presume matura. Dipende però da come la si vive la maturità. Per alcuni è soltanto noia, per altri è l’occasione per rileggere la propria esistenza, riassaporare ricordi che si erano dimenticati, quasi come se fosse ancora possibile gustarne l’essenza, la freschezza. Per altri è miseramente una parente stretta della vecchiaia, è la lista delle occasioni perdute, è la paura per il tempo che passa. Per altri, infine, è l’occasione per riacciuffare i fili della fantasia, è l’aggrapparsi ad un palloncino rosso che vola in alto e supera i confini della realtà. Ed è proprio la fantasia che ci fa scoprire mondi magici e ci fa ritrovare i luoghi che ci erano appartenuti. Scrivere poesie e dipingere quadri sono per me sempre stati una medicina, il mio modo di restare aggrappato a quel palloncino rosso.
Mi emoziono con intensità davanti ad un’opera d’arte di particolare bellezza. Ritengo però che la relativa romanzata sindrome non sia un disturbo, bensì un impagabile piacere che dona benessere.
Da sempre apprezzo la “contaminazione” e gli abbinamenti fra le varie tipologie d’arte. Mi piacciono i recital di poesia intervallati dalle note di qualche strumento cordofono. Se una fotografia mi affascina, la guardo a lungo, preferibilmente ascoltando un brano musicale che mi sembri in totale armonia. Leggo molti libri, con estrema lentezza. Cerco dalla prima all’ultima pagina di entrare in sintonia con l’autrice (prediligo lettrici e poetesse, tutta un’altra sensibilità). Senza musica non dipingo.
Non mi sono mai ostinato ad inseguire una tematica che, proprio perché tale, per certi aspetti avrebbe potuto rivelarsi limitante. Ad un certo punto una massa di idee e di sensazioni si è presentata da sola e me ne sono compiaciuto. Anche per i suoi supposti limiti che, visti da vicino, tali non erano e non sono. È mia convinzione che l’arte della pittura debba essere preceduta da un sofferto (o gioioso) percorso concettuale. Mi piace dipingere quello che ho prima percepito e poi arricchito con l’immaginazione.
Enrico Caglioni
Sostenuto da una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, Enrico Caglioni ha frequentato i corsi tenuti dal pittore Luigi Arzuffi e l’atelier del pittore Piero Urbani.
Gradatamente il pittore ha poi indirizzato la sua ricerca verso un’espressione anche surrealista che affonda le sue radici nelle sensazioni e nell’innocenza dell’infanzia. I soggetti delle sue tele sono visioni oniriche ambientate in irreali paesaggi invernali che ospitano un mondo fantasioso e immaginario, popolato da fate e da anime che “interagiscono” col pittore e che, come fidate compagne di viaggio, ne diventano complici e ne condividono gioie e solitudini.
Si dice che il regno delle fate si trovi a volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. Le immagini della fantasia che ognuno di noi ha vissuto nella propria infanzia, ma che poco a poco ha trascurato e dimenticato diventando adulto, sono affrontate ed espresse con originale sensibilità dal pittore Caglioni che propone il suo mondo fiabesco “sfuggito alla logica della ragione”. Il poeta americano Edgar Allan Poe dice che le fate spengono la luce delle stelle col sospiro del loro volto pallido. Il pittore, che è anche un valente poeta, afferma che le fate sono creature bellissime e piene di bontà, che fanno regali meravigliosi, rasserenano le notti tempestose e vegliano su di noi.
Accanto alle fate assumono evidenza anche le anime, presenze amiche che appartengono non solo a chi ci ha lasciato, ma anche a chi riesce a comprendere la dolcezza del mondo della fantasia.
La luce che illumina i dipinti è lunare e sostiene un’atmosfera surreale popolata da gatti, bambole, anime e fate, protagonisti dei racconti descritti dal pittore. Nei dipinti aleggiano involucri scuri e altri elementi ricorrenti che possono contenere sofferenze, presentimenti, rimorsi e rimpianti e che con la loro presenza incarnano metaforicamente l’atavico conflitto fra il bene ed il male.
L’espressione artistica figurativa di Enrico Caglioni propone un realismo fantasioso e magico. Le ambientazioni notturne dei paesaggi montani, dei villaggi e degli interni delle case sono rese, ma non soltanto, con una vasta gamma di colorazioni blu, mentre per dare risalto alle immagini delle fate, che sono raffigurate con una rappresentazione minuziosa, veritiera e delicata, il pittore utilizza colori reali.
Tra i vari soggetti vi è La fata guerriera, ritratta subito dopo che aveva combattuto contro i buchi neri, «perfide presenze che oscurano il cielo e che divorano i sogni e i ricordi della gente, che conoscono ognuno di noi e che si nutrono di noi».
Con un realismo immerso in un’atmosfera di magia, Enrico Caglioni riesce piacevolmente ad emozionare e a documentare frammenti di un mondo fiabesco, dove la speranza trae alimento da alleanze spirituali, si fonde con esse e trova la forza per piegare lo sconforto.
La poesia visiva che si coglie nei dipinti si accompagna a composizioni poetiche, a racconti brevi ed a riflessioni che ispirano e commentano i dipinti con un’influenza reciproca. Il linguaggio artistico di Enrico Caglioni interpreta una visione di carattere concettuale e introspettivo. Il pittore ha presentato con successo diverse esposizioni personali e ha preso parte a numerose esposizioni collettive e rassegne d’arte. Sue sillogi poetiche hanno ottenuto importanti riconoscimenti.
Cesare Morali,
Presidente del Circolo Artistico Bergamasco