Ho dipinto la Bellezza.
Giulia, cm 35x45.
Giulia, nata a Roma nel 1990, ha conseguito la laurea magistrale in Filosofia con il massimo dei voti.
Per Editoriale Jouvence ha pubblicato il saggio “Disappartenere. Esistenza e mistica in Simone Weil”.
Del novembre 2018, per Edizioni La Gru, il suo primo romanzo, dal titolo “Viola del mio pensiero”.
Di questo delizioso libro, tempo fa avevo letto in rete una breve presentazione (che in parte trascrivo). Il libro narrava di un uomo, anziano, più che mai lento, che trascorreva le sue giornate quasi sempre a casa e che amava la sua preziosa felina, chiamata Conoscenza. Osservando la gatta, che sapeva sempre “cosa fare ogni benedetta mattina”, l'uomo si interrogava sulla propria specie, si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lui in un mondo veloce e vorace, dove al posto delle persone si trovavano automi. Un mondo dove nessuno aveva più tempo, per scegliere, per immaginare, per chiudere gli occhi e vedere il futuro. L'incontro fortuito con Anita, una giovane donna precaria, aggraziata ma inquieta, sparigliò la sua esistenza.
Non è stato facile trovare “Viola del mio pensiero”. Tutti i siti specializzati lo davano per esaurito. Ho fatto di tutto per averne una copia ed alla fine ci sono riuscito grazie alla cortesia di un libraio romano (che senza nemmeno conoscermi me lo ha spedito prima ancora di ricevere il pagamento). Gliene sarò sempre grato. Del libro, ancora oggi, occasionalmente se ne possono trovare copie isolate qua e là. Non bisogna mollare.
Quando ho iniziato a leggerlo, sin dalla prima pagina ho fatto un tifo sfacciato per quell'uomo profondamente buono e generoso, un vecchio professore mai piegatosi al “grande organismo”, mai disposto a “fare sistema nella macchina”. Per certi aspetti, in quell'uomo mi sono anche un po' riconosciuto, soprattutto per l'età avanzata, per la lentezza, per l'amore incondizionato per i gatti, per la curiosità e per l'impareggiabile piacere di conoscere (riconoscere) persone con le quali si capisce ci sarà o ci potrebbe essere una armoniosa sintonia.
Giulia è adesso alle prese con un nuovo romanzo. Io ho avuto il dono di poter leggere quanto sino ad ora dattiloscritto. Non voglio svelarne i contenuti. Dico soltanto che mi è piaciuto tantissimo. La copia del dattiloscritto me l'ha inviata lei, come sigillo di una speciale amicizia, come luogo ideale dove i pensieri possono trovare reciproca comprensione.
Fata che regala i palloncini della speranza, cm 40x50.
Siamo qui
avvolti dai silenzi della notte
vestiti di ombre scure
di ricordi sbiaditi come le nostre vecchie fotografie.
Quanto tempo è passato?
Quante nuvole sospinte dal vento
e come hanno fatto a fiorire i giardini?
E quale profumo avevano i fiori che non abbiamo colto?
Siamo qui
a buttar via specchi che non ci riconoscono più
a cercare cose perdute
nomi dimenticati
dischi in vinile
francobolli doppi.
Meglio andare via
scappare in quei posti ai confini del mondo
dove la luna
non si stanca mai di illuminare i capelli delle fate
dove è sempre festa anche se non è domenica
e ti viene da sorridere
guardando quanti bei colori
hanno i palloncini della speranza.
Malinconia, cm 70x80.
A volte i sogni si stancano di noi
e quando è notte scivolano fuori dalle case
e senza fare rumore
volano su nel cielo
come vapori di nebbia
come ombre gonfie di ricordi.
Chissà
chissà a cosa pensate
quando i sogni si stancano di voi
e la malinconia vi abbraccia
e la notte sembra non finire mai.
Chissà.
Il villaggio risplende illuminato dalla luna.
La mia vecchia gatta grassa si è stancata anche lei
e circospetta salta giù da un sasso.
Ritratto dell'amica poetessa Clery, cm 30x40.
Di solito i miei quadri sono accompagnati da una mia poesia. Questa volta invece voglio farvi leggere una poesia di Clery, contenuta nella sua potente opera prima “La traccia delle vene”, anno 2014, editore LietoColle.
Batteri sintetici
Noi siamo le cose non fatte,
i piani mai firmati,
il vorrei mai rientrato
a presente. Siamo la casa
con le fondamenta di carta,
siamo la generazione nuova
di batteri sintetici.
Eppure i poeti architettano
la sopravvivenza altrui
morendo poco a poco.
La bambola scomparsa, cm 70x100.
La bambola non c’era più. La fata aveva cercato dappertutto, negli armadi fra gli abiti da sera, sotto le coperte del letto, nella dispensa fra i biscotti e i budini, nel ripostiglio della legna per il camino. Niente. Allora la fata aveva pensato che la bambola fosse uscita di casa, forse per ascoltare l’eco che saliva dalla valle, o per rincorrere il profumo dei fiori trasportato dal vento oppure per vedere come sono belle le stelle. A cose più tristi la fata non aveva voluto pensare e così, senza nemmeno coprirsi con una maglia di lana, aveva camminato tutta la notte, era arrivata in cima alle montagne e poi giù a capofitto fra boschi e sentieri e poi ancora su, chiamando il suo nome. Per vedere meglio, la fata aveva appeso tante lanterne sui rami delle betulle ed anche la luna, quella notte, sembrava brillare di più. Poi non si sa proprio bene cosa sia successo, a questo punto la storia è un po’ confusa. Si sa che la bambola è stata trovata da un gatto, un gatto che, potrei affermare senza smentite, è uno dei miei gatti, quello con la coda corta che scappa sempre se trova una fessura aperta e che non ha paura di niente. Rimane da capire come abbia fatto il gatto ad arrivare sino lassù, ma è inutile porsi domande, quando si parla di gatti. In questo quadro è fissato il momento esatto in cui la fata si gira di colpo perché ha sentito un rumore, forse un miagolio o forse alla bambola veniva da piangere. Si sa che la bambola era caduta in una buca mentre correva per andare a raccogliere dei fiori e si sa anche che una mattina ho trovato il mio gatto, col pelo ancora tutto bagnato, che dormiva su una sedia in cucina e sembrava molto contento.
La bambola che piange, cm 30x40.
(per Melissa, assassinata dalla crudeltà degli uomini)
A volte
nei cuori difettosi
della gente malvagia
una fata scompare per sempre
inghiottita
bruciata col fuoco
spezzata in un giorno di sole
mentre ancora imparava a volare.
Non ritorna più
non sorride più.
Di lei rimane l’eco del canto
che si spande nelle valli
e sale su per le montagne
cullato dal vento.
E quando è scesa la notte
tutte le notti
i giocattoli della fata scomparsa
ascoltano quella voce lontana
aspettano una carezza
sognano ancora il profumo delle rose.
Ma la fata bambina
non ritorna più
non sorride più.
Allora la bambola piange
ed ogni lacrima
assomiglia alle lacrime di Dio.
Ci sono posti vicino al cielo, cm 40x50.
Ci sono posti vicini al cielo dove l’aria ha il profumo delle rose e il vento che sale adagio dalla valle ricompone con dolcezza i sogni del mondo come fa con le nuvole come fa il tempo che passa quando indugia su sorrisi sbiaditi. In questi posti vicini al cielo la notte si scioglie come nebbia e una fata più bella della luna sussurra nel silenzio una vecchia poesia. «Mi piaceva aspettare l’alba mi piaceva l’alba anche l’attesa mi piaceva. Poi venne a trovarmi Dio. Era già informato su tutto».
La notte delle ombre cattive, cm 60x80.
Era una notte di ottobre e la neve copriva i tetti delle case. Una fata cantava sottovoce una canzone d’amore e sorrideva alla luna. Lontano lontano si sentivano le note di un carillon. Le nuvole danzavano cullate dal vento.
Poi, nessuno sa bene cosa sia successo. I racconti sono molto confusi.
Di sicuro c’è che all’improvviso una cosa nera e grossa è comparsa nel cielo, e quella cosa aveva anche i denti, lunghi come quelli dei lupi quando sono affamati. Di sicuro c’è che persino la luna era spaventata.
Di sicuro c’è che nelle strade del villaggio, silenziose e viscide strisciavano le ombre cattive.
C’è chi giura di aver visto le zampe e le code e alcuni dicono che le ombre assomigliavano ai mostri delle favole. Altri dicono che le ombre si erano nascoste dietro ai macigni e che è facile confondersi quando si guarda nel buio.
Comunque, per fortuna, una fata ha aperto la finestra, ha visto tutto e si è messa a gridare. Le luci delle case si sono accese e la fata che cantava si è voltata a guardare. Così si è salvata.
L’ombra cattiva le ha strappato solo sette capelli, ma i capelli si sono trasformati subito in fiocchi di neve e il vento li ha portati via. L’ombra cattiva non li ha più trovati.
Ma che paura quella notte nel villaggio!
Uno che conosco dice che le ombre cattive non esistono e che sono i nostri pensieri ad essere cattivi. Chissà, forse bisognerebbe chiedere alle fate. Ma intanto siate prudenti. Se vedete qualcosa che brilla nelle tenebre, scappate, scappate, perché sono gli occhi delle ombre cattive.
La fata dei ricordi, cm 70x100.
Quando la notte scende sul villaggio
e le ultime luci sorridono alla luna
la fata dei ricordi vola su una nuvola
e soffia nella valle il profumo delle rose.
La nostalgia diventa allora
dolce come l’aria che respiri
e i giorni perduti nelle tane del tempo
scivolano adagio dentro le finestre
come soffici fiocchi di neve
o come polvere di stelle
o come l’eco di una canzone d’amore.
Ancora guardi fuori e sei contento
e allunghi le tue braccia per toccare il cielo
e non fa niente se non arrivi sino in cima
se la tua stanza non è grande come il mondo.
Ma ormai le nebbie del mattino
salgono in silenzio da dietro le montagne
e la fata dei ricordi è tanto stanca
e deve andare via lontano.
Così di lei rimane appena il suo profumo
un attimo soltanto
un respiro breve, come la tua vita.
Gaia, cm 35x45.
Continua (e continuerà, spero a lungo) il mio omaggio pittorico alle amiche poetesse. Questo dipinto ritrae una poeta diplomata all'Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo che, oltre a dedicarsi alla poesia, è attiva nella ricerca in campo fotografico e offre la sua passionale voce a personalissime interpretazioni di ballate e motivi nordici.
La sua poesia profuma di terra umida, di corteccia, di foglie calpestate, di miceli, di acqua fresca che scorre fra i sassi.
La sua poesia profuma d'amore, di corpi che amano, di abbandoni, di nuovi sentieri scoperti fra i rovi, di cielo che penetra fra le fronde delle betulle, di notti che non finiscono mai.
Qui di seguito mi fa piacere farvi leggere una sua composizione, tratta da “Fiori nudi”, CartaCanta editore (2018).
Ma tu non ti girare
Ma tu non ti girare
non guardare spericolarmi sgraziata
alzando terra e silenzi e loro contrari
non ti voltare amore, amore per l'ultima volta
- se me lo permetterai e la mia carne
non sarà passata oltre, mi ritroverai
nel genetliaco della neve in gennaio
nelle piccole creature in cui tanto ti sei sforzato di credere.
Portami con te come una di loro
- colmi di dubbio i tuoi occhi nonostante l'amore -
portami con te
ma non ti voltare.
Federica, cm 40x50.
Riprende, con immutato piacere, il mio omaggio pittorico alle amiche scrittrici e poetesse. Federica, laureata in Filologia moderna all'Università degli studi della Tuscia a Viterbo, insegna lingua italiana in varie scuole a Tarquinia e a Monte Romano.
La sua prima pubblicazione, “Altri nuovi giorni d'amore” è del 2017, a cura di Giuliano Ladolfi Editore. Nel luglio 2020, per l'Editore Interno Poesia, è seguita la raccolta “Modi indefiniti”.
L'impronta poetica di Federica mi ha da subito ricordato lo stile di Wislawa Szymborska, sia per la precisa funzione che gli accadimenti e gli elementi della quotidianità vanno ad assumere, sia per la costruzione di versi mirati a non concedere eccessivo spazio alle passioni.
In tale contesto si potrebbe desumere che le emozioni non possano sfuggire al controllo della incorruttibile logica intellettuale dell'autrice. Ma così non potrebbe essere e così non è. Infatti, ancorché elegantemente e ironicamente celato, si avverte in tutta la sua carica esplosiva un frastornante tumulto emotivo ispiratore.
Qui di seguito una poesia tratta da “Modi indefiniti”.
Vorrei più tempo per leggere e invece
mi tocca scrostare questa mia casa
piastrelle pareti pavimenti: tutto.
Ogni angolo, di questa casa, anche i ricordi
i suoi abitanti, con ammoniaca profumata.
Ecco: ah, che incanto! Sono tutta sola.
Come foglie le settimane
sfuggono dalle mani
di chi pensa di averne troppe.
Persino il caffè viene su in fretta,
lo prendiamo e fugge la vita.
Resta soltanto la polvere
sugli oggetti silenziosi in casa mia.
Togliere il fiore al basilico, mentre è
in formazione. Essere veloci tempestivi
non aspettare la fine dell'estate, tagliare
tagliare, quei fiorellini: belli da guardare però
s'ha da fare: decidere, recidere. E poi dimenticare
tutto, tranne che giugno tornerà: aspettare.
Flaminia, cm 35x45.
Riprende con immutato grande piacere il mio omaggio pittorico alle amiche poetesse. Il dipinto di oggi ritrae una giovanissima poetessa romana, laureatasi in giurisprudenza nel 2019 presso la Luiss Guido Carli.
La sua prima pubblicazione è del 2018, con una raccolta dal titolo “Il crinale” a cura di Aletti Editore. Successivamente, molti suoi componimenti sono stati tradotti e ripresi da riviste internazionali e da diverse testate giornalistiche.
Nel maggio 2020 vede la luce “La voce del fuoco”. Il libro esce per Capire Edizioni, collana CartaCanta, curata da Davide Rondoni, noto poeta e scrittore al fianco del quale Flaminia Colella ha lavorato nello stesso anno per il libro d'arte “Io non ho mai scritto e nessuno è innamorato”, a cura di Fabbri Editore, nuova versione di traduzione di sessanta sonetti di William Shakespeare.
Di Davide Rondoni riporto un breve frammento dell'introduzione a “La voce del fuoco”: «Sono testi che a volte arrivano come un pugno, altre come una lama di coltello. Come un pianto trattenuto. Una commozione che stenta a credere a sé stessa. Tutto materiale prezioso, pericoloso. Pieno di incendiaria grazia».
E come non riportare anche un frammento della recensione curata dall'amica poeta Federica Ziarelli che annota: «Il suo scrivere risplende di umiltà e cresce a poco a poco, non spinge, come un fiore si affaccia e sorride [...] ciò che scuote, rallegra e appassiona è il comprendere che non scrive poesie per essere amata ma per amare».
Qui di seguito trascrivo una poesia di Flaminia tratta dall'ultima raccolta.
Dentro l'estate
c'è un azzurro solido
di finestra aperta
sul lenzuolo,
azzurro che ci segue
e apri gli occhi, lo vedi.
Non so spiegare l'azzurro
ci dice come ridere,
come piangere e
morire.
Azzurro, amore, tempo.
Collisione.
Azzurro lampo
di parentesi sottile.
Fate che salvano la luce e la speranza, cm 50x70.
A volte, nei cieli ai confini del mondo, all’improvviso appaiono i buchi neri, spietati, con i denti aguzzi, feroci come una brutta notizia inaspettata o una sentenza che non ha appello. Senza fare rumore si nutrono di noi, divorano le nostre ansie, i nostri presentimenti, i nostri rimorsi. Poi scivolano nel cielo, sempre più grossi e velenosi, allungano i tentacoli e ci fanno mancare il fiato.
In questo quadro ne potete vedere uno, di quelli più perfidi, che aveva afferrato una nuvola come fosse panna montata e che la voleva spostare proprio davanti alla luna, per rubare la luce al villaggio.
Che paura! Che sciagura! Immaginatevi il villaggio che di colpo diventa tutto nero, immaginatevi la neve col colore del carbone. Che disastro! La gente si sarebbe persa nei boschi e qua e là sulle montagne si sarebbero udite urla disperate e, lontano lontano, pianti di bambini che non trovavano più la strada per tornare a casa. Meno male che non è successo e che la luna ha poi ricominciato a brillare con vigore e a donare la sua luce.
E voi sapete bene che la luce non è soltanto il chiarore della luna e nemmeno il solitario tremolio attorno a una candela accesa.
La luce è anche speranza, è resistenza alle avversità, è voglia di combattere contro ciò che vuol farci del male.
La luce è insomma respiro, è vita.
Ho pensato allora che nel quadro sarebbe stato bello fissare il momento in cui il buco nero sta per essere sconfitto dalle fate. E allora eccole che, senza alcun timore, strappano dalla nuvola i tentacoli del buco nero e già si rivede la luna quasi intera. Di fate ce ne sono due, ma è un caso. Ce ne poteva essere anche una sola e comunque si sa che le fate sono molte di più, ma siccome il mondo della fantasia è tanto grande, è davvero difficile che le si possano vedere tutte insieme in una storia sola.
E a proposito di storie, questa è finita. Il titolo è Fate che salvano la luce e anche la speranza.
Vi rimane da ricordare che anche quando il cielo sembrerà essere diventato completamente nero, voi non dovrete stancarvi di scrutare se da qualche parte si riesce a vedere qualcosa che luccica. Anche una lucina piccina andrà bene, perché se voi l’aiuterete diventerà più grande e allora potrete chiamarla speranza.
Vedrai, cm 50x70.
C’era una volta una bambola piccina
che cercava nel bosco i primi fiori di primavera
quelli che assomigliavano ai suoi sogni
ai suoi sorrisi.
Com’era bella quando cantava
quando mandava baci alla luna
e nella manina
teneva il filo di un palloncino rosso
che saliva piano nel cielo
e giocava con le nuvole.
Poi all’improvviso
una fredda notte di marzo
e un vento furioso arrivato da lontano
spietato come un’ombra cattiva.
Oh povera bambolina
il tuo palloncino è volato via è perduto
e rimane l’amaro sapore
di giochi che non si trovano più
rimane il profumo di petali appassiti
caduti fra i tuoi capelli.
Oh povera bambolina
tu non potevi sapere
quanto grande può essere la tristezza
e come sia difficile accoglierla nel cuore
ora che i tuoi occhi guardano attoniti nel vuoto
ora che ascolti parole che non puoi capire.
Ma tu, tu non piangere piccina
cammina ancora e ancora
non ti fermare mai.
Vedrai che arriveranno nuove primavere
e sbocceranno nuovi fiori
e le tue mani saranno diventate grandi
vedrai che ci sono posti dove il vento non farà paura
in un giardino che avrà il tuo nome
dove ogni giorno tu seminerai briciole d’amore.
Vedrai, sorriderai alle stelle.
Il villaggio delle bambole spaventate, cm 50x60.
Notiziari.
Cronaca in diretta di paure nuove
progetti frantumati
solitudini
detergenti per le mani.
La gente pensa di fuggire
magari in una stanza chiusa a chiave
o chissà dove, prima che venga la tosse.
Io no.
Io non mi muovo dal villaggio
c’è una fata guardiana sempre attenta
una bambina che danza
e anche un gatto bianco
così piccolo che si vede appena
e si confonde con la neve.
Qui non ci sono statistiche
ipotesi
zone rosse.
Che bello.
Peccato però
che le bambole siano spaventate
e ti guardino con quegli occhioni
come volessero dire qualcosa
che loro sanno già.
No no.
Le bambole non sanno proprio niente
e non hanno mai imparato a parlare
è solo un problema del pittore
inventa sempre cose che non esistono
e le dipinge anche male.
L’albero della vita, cm 70x80.
In cima alle montagne, dove solo le fate possono arrivare,
da sempre ha le sue radici l’albero della vita.
Oh, non dovete pensare ad una quercia secolare,
né ad un abete dalle ricche fronde,
no no, l’albero della vita è un piccolo tronco
confuso fra macigni e contenitori di ricordi,
affiora dalla neve, guarda il cielo
conta in silenzio le notti che trascorrono
conosce tutti i nostri segreti
ascolta i sussurri delle nostre anime.
E ogni anno, quando la primavera si avvicina
questa bellissima fata vola sino lassù
e aspetta che le tenere nuove foglie sorridano alla luna
ancora una volta, come sarà per sempre
perché le fate non hanno età
come i sogni dei bambini.
Le notti delle stelle cadenti, cm 60x80.
A volte
nelle lunghe notti di novembre
il cielo si riempie di scintille improvvise
e dietro le montagne ai confini del mondo
scivolano bianche scie di luce
che si consumano in un battito d’ali
come timidi sorrisi
o parole perdute nel vento.
Allora
in queste notti che sono speciali
mentre dalla valle lontana
sale un’eco di sospiri e sussurri
le fate si siedono al chiaro di luna
e ascoltano i desideri più belli
e li fanno volare su in cielo
nel bagliore delle stelle cadenti.
La fatina che guarisce dai rimpianti, cm 60x40.
Abbiamo passato giorni, anni
la vita intera
nell’attesa che arrivasse qualcosa.
L’ultimo giorno di scuola
il treno per andare al mare
i fuochi d’artificio
la neve di Natale
i coriandoli da tirare
e poi, ancora, una nuova estate
per ricominciare.
Quanta strada abbiamo fatto
liscia e senza salite
o a volte piena di buche
e chiodi arrugginiti.
Quali sogni riusciamo a ricordare
e quali abbiamo chiuso
nelle scatole di latta
insieme ai carillon
e alle voci di chi non c’è più
registrate su pellicole arrotolate.
È così tanto il tempo consumato
che si riesce quasi a indovinare
quando andrà a finire.
Abbiamo fatto cose
che non ci piacevano tanto
e immaginato altre
che ci facevano respirare.
Così siamo ancora qui
nell’attesa che arrivi qualcosa
o qualcuno
forse la fatina che guarisce dai rimpianti
una che è brava
a preparare pozioni magiche
da bere a tarda sera
dopo avere inghiottito le medicine
con gli infusi di speranza.
Io abitavo qui, cm 60x80.
Io abitavo qui.
Tutti noi abitavamo qui,
in un villaggio che era fatto proprio così
dove i fiori
sorridevano anche quando cadeva la neve
e dove l’aria fresca
si mischiava al fumo del camino
e al profumo delle bucce dei mandarini.
Eravamo tanti
mai stanchi
e non faceva niente se era quasi mezzanotte
se avevamo i calzini bagnati
e le mani gonfie e col colore del fuoco.
Tutti noi abitavamo qui
perché eravamo bambini
piccoli prìncipi e principesse con i cappellini di lana
e in tasca un sacchetto di tela pieno di bigliettini
dove in segreto scrivevamo i nostri sogni.
...
Quanto tempo è passato
quanta neve è caduta sui nostri capelli
e quanti di noi hanno smesso di sognare
e sono stati portati via dal vento.
...
Io abito ancora qui.
Oh certo
adesso non corro più come facevo prima
e sto attento persino a dove metto i piedi
e ci vuole proprio poco per sentirmi stanco.
Ma poi, quando arriva mezzanotte,
da una finestra guardo ancora i tetti delle case
i campanili alti alti con le bandierine
la bottega sempre aperta coi regali di Natale
e la fata che ogni notte appare all’improvviso
e resta ferma lì come fosse una statua.
Poi, mentre la luna scivola adagio nel cielo
accarezzo piano il mio sacchetto di tela consumata
ritaglio un nuovo foglio bianco in tanti pezzettini
e scrivo sorridendo i sogni che invento per domani.
Il pozzo dei desideri, cm 50x40.
Siamo qui
nelle nostre stanze stanche
a pretendere sprazzi di luce
sguardi parlanti
schizzi di vita.
Non ci importa sapere
se il pozzo dei desideri esista davvero
o sia solo una compassionevole bugia
per tenere accese le speranze.
Siamo qui
sospesi in questi giorni che non riconosciamo
adesso che ci piacerebbe tanto
riuscire a nasconderci fra le nuvole
o fare a piedi chilometri di strada
per arrivare chissà dove
basta che sia lontano
e non si sentano le sirene.
Siamo qui
pazienti ad aspettare la notte
poi danzeremo tutti insieme
perché magia si compia
davanti a uno specchio, agitando bandierine
o forse chissà
in un bosco di betulle illuminato da lanterne.
Fata con fiori di giglio, cm 50x70.
Si dice che il profumo del giglio si associ ad una idea di seduzione femminile e di sensualità, ma si dice anche che il fiore, quando bianco, simboleggi soprattutto purezza e dolcezza. Decidete voi a cosa credere. Io dubbi non ne ho. D’altra parte, come potrei mai pensare che l’anima di una fata non sia candida come la neve? Sono anni e anni che dipingo fate e che continuo a credere che davvero esistano. Solo che non è facile vederle, e ancora di meno riuscire a parlarci.
Voi però ricordatevi sempre che lontano nel tempo, il mondo delle fate era anche il vostro, prima che si spegnesse, quando avete smesso di crederci.
I sogni che volano in cielo, cm 40x30.
Quando viene la notte
nelle case del villaggio c’è silenzio
e le finestre delle case sono aperte
per far volare in cielo i sogni della gente.
Volano in alto
i sogni colorati della nostra giovinezza
di quando il cuore picchiava forte forte
e le parole d’amore
erano coriandoli illuminati dalla luna.
Volano in alto
i sogni che avevamo spento
e ricoperto con la polvere del tempo
come fiori coi petali appassiti
davanti a sbiaditi lumi votivi.
Volano in alto
i sogni dei bambini
guarda, sembra che saltellino fra le stelle
sono tutti gonfi di baci e di promesse
e sperano che giunga subito mattina.
Quando viene la notte
volano in alto i sogni della gente
a volte come piume trasportate dal vento
a volte confusi col fumo dei camini
volano in alto
insieme ai frammenti della nostra vita
pezzettini di vetro scintillanti
che riflettono la luce dei ricordi.
Fata alla finestra, cm 40x30.
Era affacciata alla finestra, dopo un lungo viaggio. Non so a cosa pensasse, non so se avesse nostalgia.
Forse era solo stanca. O forse era assorta in quella musica dolce che saliva da quella casa laggiù, accarezzando i tetti imbiancati dalla neve.
È rimasta lì tutta la notte, illuminata dalla luna, ascoltando le parole sussurrate dal suo cuore.
La mia vecchia gatta grassa che guarda su in cielo, cm 60x80.
Quando è notte i gatti non dormono mai
annusano gli odori della casa
frugano le ombre
ascoltano rumori lontani.
Se una finestra è rimasta socchiusa
vanno fuori a guardare la luna
le nuvole che giocano con le montagne
i camini ormai spenti.
Anche la mia vecchia gatta grassa fa così
soltanto non sente i rumori del vento
perché è quasi sorda
e il vento dovrebbe urlare per farsi ascoltare.
Ma lei sa bene
che non tutte le notti sono uguali
e allora guarda su in cielo
e se vede una fata
pensa che è bello saper volare
come fanno i petali delle rose
prima di colorare la neve.
La fata vestita di neve, cm 35x45.
Le fate sono creature buone e gentili.
Offrono baci e tisane
e anche se sono sempre piene di cose da fare
ascoltano tutte le voci portate dal vento
e l’eco di ogni musica lontana.
Non si ammalano quasi mai.
Quando è notte
e un dolce silenzio avvolge le montagne
fanno le smorfie per far ridere la luna
e se la nebbia nasconde le case
lasciano qua e là petali di rose profumate
e ci aiutano a ritrovare il sentiero.
Se sono stanche sciolgono i capelli
e guardano su nel cielo.
Nessuno sa a cosa pensano allora.
Era una notte di ottobre
e c’era una fata bellissima
era vestita di neve.
La fata guerriera, cm 50x70.
Ci sono notti che il cielo mette davvero paura.
Questo succede tutte le volte che i buchi neri compaiono all’improvviso, odiosi e beffardi.
In questo quadro uno di loro sembra una macchia di inchiostro, così gonfia che minaccia di rovesciarsi sui nostri ricordi più belli e sulle parole che hanno riempito i nostri sogni. Le vorrebbe cancellare quelle parole e fare come se non fossero mai state scritte.
Ognuno di noi ha i suoi buchi neri, sempre affamati, più ancora dei miei gatti e comunque i miei gatti non hanno le unghie così lunghe.
In queste terribili notti ogni tanto compare anche la bellissima fata guerriera.
Oh, lei non li teme i suoi buchi neri o forse un poco sì, però a guardarla non si capisce bene. A loro però non interessa capire. Si dice anzi che diventino ancora più pestiferi se pensano che lei non abbia paura.
Ma la fata guerriera non si lascia intimidire, combatte come una furia e con tale impeto che a volte arriva persino a prendersela con i buchi neri degli altri. O forse lo fa di proposito, per aiutarli, gli altri. Chissà. Del resto è una fata e si sa che le fate sono creature piene di bontà.
In questo dipinto c’è il ritratto della fata guerriera alcuni minuti dopo che la battaglia era finita. Ha i capelli un poco arruffati e sembra anche un poco stanca, però la posa è di chi non si è data per vinta.
Meno male che di macchie di inchiostro che gocciolano non se ne vedono.
La rosa in basso a destra è un omaggio del pittore.
Le notti insonni, cm 100x80.
Ci sono notti che non finiscono mai
e non si può dormire
perché il frastuono penetra i muri delle case.
No, non è per una festa
o per l’anniversario di qualcosa
no, non sono i fuochi d’artificio
e le stelle che cadono
scivolano adagio giù dal cielo
silenziose.
Le anime non dormono
e vagano nelle stanze
in cerca di cose che non trovano più
forse sorrisi
evaporati come fa la nebbia
o forse parole bisbigliate
o una canzone d’amore
o il profumo di una rosa.
Le luci del villaggio sono ancora accese
e le anime non riescono a dormire
perché il frastuono penetra le pareti del cuore.
Angelica, cm 35x45.
Continua, sempre con immutato piacere, il mio omaggio pittorico alle amiche scrittrici. Oggi è la volta di una giovanissima autrice, studentessa di filosofia, profondamente sarda, come lei stessa ama definirsi.
Modella, “figlia d'anima” di Giovanni Gastel, ha esordito ventenne con il romanzo “L'estate della mia rivoluzione”, edito da Mondadori nel giugno 2020.
Da un’interessante e rivelatrice intervista rilasciata alcuni anni fa alla testata Sardinia Fashion, riprendo alcune note: «mi dipano agevolmente in una crasi tra una Pollyanna piena di spirito, Elizabeth Bennet—arguta eroina ottocentesca di Jane Austen—una granitica, dignitosa e fiera donna deleddiana, un’Adalgisa gaddiana icastica e propositiva, e una Holden Caufield in gonnella un po’ più smaliziata».
Infine, dalla quarta di copertina del libro, trascrivo, anche abbreviando: «Luce, la diciassettenne protagonista del romanzo, a scuola riesce senza troppi sforzi ma non ha grandi rapporti con i coetanei. Non assomiglia per niente agli adolescenti che la circondano. Perché nella sua età e soprattutto nel corpo di una ragazza della sua età, non si sente per niente a proprio agio. È come se appartenesse a una declinazione diversa della stessa specie, come fosse fuori sincrono. A differenza dei suoi compagni, infatti, Luce non riesce ad accettare le asperità della metamorfosi, a gustarne la forza e a coglierne tutto il potere. Al contrario, l’immagine che le viene quotidianamente restituita dallo specchio, quel corpo che muta e che la sorprende ogni giorno con particolari nuovi e non richiesti, non la rappresenta. Non più. Le è estranea, sconosciuta, nemica. Un’immagine lontana da come si sente realmente, nel profondo. Ma l’estate che sta per vivere, con gli incontri che costelleranno questa stagione pigra e suadente, potrebbe sorprenderla, offrendole la possibilità di affrontare l’atroce senso di sospensione e incertezza che la avvince, e di compiere quei primi indispensabili, goffi eppure rivoluzionari passi che, pacificandola con il passato, potrebbero permetterle di abbracciare un futuro carico di promesse».
«Da qualche tempo viene a trovarmi ogni mattina un'amara sensazione che mi rende infelice. Quasi una disarmonia che mi staziona addosso. Come un dirimpettaio molesto e turbolento».
I sogni dei bambini, cm 50x70.
Ci sono villaggi ai confini del mondo dove le fate hanno nascosto le lancette del tempo. In questi posti segreti e molto lontani, le notti non finiscono mai e, anche se c’è il vento, la luna rimane sempre ferma su in cima nel cielo. A volte dalla valle salgono tintinnando i sogni dei bambini. A volte, leggeri e colorati come bolle di sapone si adagiano sui tetti delle case, sui balconi delle finestre accese e sulla neve che ha coperto ogni sentiero. Le fate sanno bene a chi appartengono quei sogni perché conoscono per nome tutti i bambini. Anche se magari per voi è strano, dovete sapere che le fate custodiscono ogni sogno con amore e che non butteranno via mai niente, nemmeno quando qualcuno avrà smesso di credere in loro e avrà smarrito il ricordo dei sogni della propria infanzia. Ogni volta che capiterà, sarà però una storia triste, perché quando qualcuno smette di credere alle fate e dimentica i sogni che faceva da bambino, vuol dire che non potrà più entrare nel regno della fantasia e che poi sarà inutile pentirsi. È per questo che io certe sere, anche se con un po’ di fatica perché ormai ho tanti anni, mi metto a pensare a quando non ero mai stanco, a quando non faceva niente se avevo le mani gelate e se i calzini erano bagnati dalla neve, a quando i miei sogni salivano in cima alle montagne e, come petali di rose, si impigliavano fra i capelli delle fate.
Fata bambina che soffia le bolle di sapone, cm 60x50.
Quando sono ancora bambine
le fate non stanno mai ferme
e non si stancano mai.
Corrono su e giù per la valle
lanciano palle di neve
fanno le gare col vento
accendono piccoli fuochi
cadono nei cespugli di rovi
e se si graffiano i gomiti
si puliscono sulla riva del lago.
Non hanno paura di niente
neanche dei buchi neri
ma questo soltanto perché
ancora non li conoscono bene.
Giocano a nascondino
contano le stelle
raccolgono i sassi colorati
anche quelli brutti
se hanno la forma di un cuore.
Disegnano sui vetri appannati
danno bacini alle bambole
accarezzano gli animaletti di pezza
leggono i libri antichi che insegnano a volare
e poi chissà quante altre cose
che adesso non mi vengono in mente.
Guardate questa birichina con le gote rosse.
A lei piace soffiare le bolle di sapone
e vorrebbe riempire il cielo.
Prima si sentiva la sua vocina stizzita
ogni volta che scoppiava una bolla.
Ma le fate bambine non si stancano mai.
La fata delle parole, cm 50x40.
(Sono stato ore ed ore a cercare di inventare una didascalia che rendesse omaggio a questa fata. Ho riempito fogli di segni, di correzioni, di scarabocchi. Poi ho stracciato tutto, meno che una storiella, ma solo perché era notte fonda e i gatti mi guardavano con compatimento e reclamavano qualcosa da mangiare. Va beh, bisogna accontentarsi di una didascalia imperfetta, come del resto imperfetti lo siamo tutti.)
Ci sono notti che non troviamo più le parole. Allora le cerchiamo dappertutto, nei ricordi della mente, sotto le coperte, negli armadi, nei cassetti dove nascondiamo il cioccolato fra le medicine. Niente, le parole se ne sono andate via, forse perché non avevamo chiuso bene le finestre e fuori si era alzato un vento forte. Chissà.
Eccole le parole, eccole che volano impazzite nel cielo e si aggrappano l’una all’altra, appiccicate senza spazi e senza senso. Ecco che le più lunghe si spezzano come biscotti secchi e perdono le doppie e poi le vocali e le consonanti vanno a sbattere contro punti interrogativi infastiditi.
Una fila di sssssss, incurante del baccano si è assopita su una nuvola. Le gl dei glicini svolazzano stordite pensando di essere le gl delle foglie, mentre le virgole si divertono a roteare e disorientate vanno ad inventare apostrofi e accenti che non c’erano mai stati. I puntini di sospensione non finiscono più e si intestardiscono a tratteggiare sentieri che chissà dove portano.
Oh che confusione!
Poi all’improvviso appare lei, la fata delle parole. Un suo cenno e il vento cessa di soffiare. Un suo sorriso e le parole si ricompongono e riassumono significato. Da neghittose e dispettose che erano iniziano a fare le ruffiane, si scusano, ridacchiano, fanno gli inchini. Le più spavalde si infilano fra i riccioli dei suoi capelli. Allora la fata le chiama per nome e loro si riempiono di gioia perché ora appartengono a lei e sanno che faranno parte di qualcosa di importante, di un suo discorso, di una sua storia.
Pensare che tanta gente guarda il cielo e vede solo se andrà a piovere o se ci sono le scie degli aeroplani.
La giostra delle fate, cm 50x70.
C’è un posto segreto dove le fate ritornano bambine.
Nessuno è mai arrivato sino là, nemmeno io che l’ho dipinto, perché quel posto io l’ho soltanto immaginato, in una notte d’estate spinta via da un vento che soffiava forte. Nessuno sa come sia fatto questo posto, se esista davvero, se sia lontano lontano, se si possa rimanere lì per sempre. Alcuni dicono che è solo una favola e che a una certa età bisognerebbe smettere di credere alle favole, ma invece io ci credo ancora.
Ecco, una piccola valle sotto le montagne alte dove le fate dimenticano le angosce del mondo e dove i loro cuori si riempiono di tutta quella gioia che spargeranno poi dal cielo sui tetti imbiancati dei villaggi, sulle pinete, sui sentieri illuminati dalla luna, sui capelli dei bambini. Ed è per questo che i bambini e le bambine hanno l’anima candida come la neve, che si divertono con niente e che sono tutti e tutte uguali, anche se poi alcune bambine crescono, imparano a fare cose bellissime e un po’ strane e ci riescono soltanto loro, perché sono diventate fate.
E proprio qui, anche se magari sono stanche, le fate cantano, fanno corse a perdifiato, le bolle di sapone, miagolano per chiamare i gatti, cullano le loro bambole avvolte nelle copertine di lana, saltano sui cavallini della giostra come facevano quando erano piccine.
Guardate, c’è il cavallino di Sara con la criniera bianca e lì vicino quello tanto dolce di Natalia, ci sono i cavallini di Anita, Agnese e Milla, quelli di Ewelina e Magdalena, tutti che girano e girano e non si fermano mai. C’è anche il cavallino della fata che vola sorridente fra le stelle e tiene stretto il filo di un palloncino rosso che si vede appena.
C’è anche il cavallino bianco di Virginia che, poverina, è andata via un pomeriggio che faceva tanto freddo.
Chissà, forse nascosti dalle nebbie del tempo, ci sono tanti altri posti segreti come questo, dove se guardiamo bene possiamo ritrovare i nostri ricordi scoloriti, i nostri sogni spezzati come rami secchi, i nostri cavallini dondolanti, la nostra infanzia, ormai fuggita via lontano.
Chissà, forse in quei posti magici e segreti dove sognavamo noi, adesso si stanno addormentando altri bambini, tutti uguali, con i capelli che brillano sui cuscini e con l’anima candida come la neve.
Nelle notti che si nutrono d’amore, cm 50x30.
Silenzio.
La luna scivola adagio nel cielo
e ricompone i suoi pezzi nell’acqua del lago.
L’aria profuma di fiori
di neve
e di ricordi.
Mi piace tanto restare qui
in questo mondo senza rumori
dove può entrare solo chi dico io
o chi conosce il sentiero
perché assomiglia a me.
Silenzio.
Non serve parlare
o fare segni con le mani
ed è così bello
pensare di poter fermare il tempo
respirare
e poi svanire nelle notti che si nutrono d’amore.
Il rumore del silenzio, cm 60x50.
La notte è scesa sul villaggio
e le ultime luci si stanno per spegnere
rimane solo il rumore del silenzio
gelido e tintinnante
come quello dei sogni perduti
delle parole non dette
dei giocattoli rotti.
Guardi la luna
la luna si specchia nei tuoi occhi
e l’alba è ancora così lontana.
Ascolta
si è alzato un forte vento
che confonde
il profumo delle rose
agli odori amari
gli scricchiolii di porte socchiuse
ai sospiri interrotti dal tempo.
Ascolta
ora il silenzio ha il rumore dei battiti del tuo cuore.
Ombre cattive che assediano il villaggio, cm 80x70.
Ancora. È successo ancora. Proprio quando pensavamo che tutto fosse finito e che mancava poco tempo per arrivare a Natale, loro sono tornate. Loro, le ombre cattive, con i denti lunghi, sempre affamate. Sono lì, le potete vedere anche voi, al limitare del bosco, nascoste dietro i massi più grossi. Pazienti, silenziose, pronte a ghermirci.
Che tristezza. Nel bosco non ci sono più i fiori e vicino alle ombre cattive l’acqua si è sporcata e gli alberi hanno adesso colori strani e radici che sembrano serpenti. Eccole lì. Si vedono poco perché sono ombre e si sa che di notte le ombre non si distinguono bene. E comunque nel quadro non risaltano tanto. Le ho dipinte apposta così, perché non volevo che qualche bambino guardasse il dipinto e potesse spaventarsi.
Non si sa bene quando siano arrivate. C’è chi dice che non siano nemmeno mai andate via e che si fossero soltanto nascoste. Cosa succederà al villaggio? Che paura. Attenti, bisogna stare attenti. Qualcuno dice che ti saltano addosso e che poi restano appiccicate e ti tolgono il fiato.
Il villaggio sembra deserto. Nessun viandante sale sulle montagne per andare a ringraziare la luna. E pensare che lei si è gonfiata tutta per illuminare di più.
A vegliare sul villaggio c’è solo una fata. Si dice che anche lei sia comparsa la notte in cui sono arrivate le ombre. Fa finta di essere una statua e guarda sempre dove il pericolo si nasconde. Rumori non ne sente mai, ma ogni tanto vede una coda che si muove, un artiglio che si apre. Sono loro. Sono le ombre cattive che assediano il villaggio. Tutti i villaggi del mondo.
La notte è scesa sul villaggio, cm 50x70.
La notte è scesa sul villaggio
e abbraccia le montagne illuminate dalla luna
i campanili che vorrebbero toccare il cielo
i cuori stanchi della gente
i libri lasciati aperti sopra il letto
le storie che abbiamo ancora da finire.
Dormono le strade che ci portano a casa
e quelle che abbiamo sbagliato tante volte
quando ci veniva da ridere
perché eravamo giovani
e il tempo non bussava mai alla nostra porta
quello stupido tempo
così testardo
così cocciuto
ogni stagione che ci ha inseguito
ogni palpito che ci ha misurato.
La notte è scesa sul villaggio
e tutti dormono aspettando domani
le cose ancora da fare
i sogni da accarezzare
la musica da ascoltare
nuovi pezzi di vita da fotografare.
Anche i gatti dormono
i loro cuscini sono fatti di nuvole
e intanto volano sospinti dal vento
sino ai confini del mondo
dove il tempo si è fermato.
Ucraina, febbraio 2022, cm 30x40.
In queste fredde notti
il cielo è solcato da sagome metalliche
e si illumina con nuvole di fuoco.
Cadono bombe.
A noi piaceva la luce della luna.
Noi chiedevamo soltanto coriandoli.
Fata che suona il violino, cm 60x80.
A volte, nelle notti d’estate, la luna è così bella che viene voglia di toccarla e di parlarle, proprio come fanno i matti o come, se ci pensate bene, proprio come facevamo tutti, quando non eravamo mai stanchi ed eravamo pieni di sogni e di segreti e pensavamo di possedere il tempo.
In queste notti, su in cima alle montagne ai confini del mondo, a volte neanche le fate riescono a dormire.
Allora si mettono a fare mille cose. Ad esempio tolgono la polvere dai ricordi della gente e li mettono bene in fila, così noi non facciamo poi fatica a ritrovarli, lasciano impronte sulla neve per aiutare chi si è smarrito nel bosco, accarezzano i fiori, preparano regali per i bambini, soffiano via le nubi minacciose e così tante altre cose che non si riesce nemmeno a immaginare. Le fate più audaci fanno anche le linguacce ai buchi neri, anche se lo sanno che è pericoloso, perché poi loro diventano ancora più cattivi e cercheranno di vendicarsi per l’affronto.
In questo quadro è però raffigurata una dolcissima fata, una con le gambe lunghe lunghe e con un bel vestitino rosa. Che brava che è, guardate come riempie il cielo di note musicali e come le note brillino al chiarore della luna.
Oh, non chiedetemi che cosa la fata stia suonando, se un concerto in B minore, se la sinfonia sia andante o allegra, se la musica sia di Paganini o di Vivaldi. Non lo so. Di sicuro so che è una bella musica perché il suo concerto per solo violino ha già radunato tanti spettatori. Ci sono anche i miei tre gatti, compreso quello un po’ bizzarro. Gli altri non li conosco bene, forse sono quelli dei vicini o forse chissà. Eccoli lì, tutti attenti e con le orecchie tese, meno quelle di un gattone rosso che sta arrivando da lontano.
Io prima non ero sicuro che ai gatti piacesse il trillo del violino, anche se qualche sospetto ce l’avevo. Adesso ho invece capito perché ogni tanto in casa i gatti non si trovano più. Cerchi dappertutto e vedi soltanto ciuffi di pelo qua e là, i segni delle unghie lasciati sul divano e le finestre spalancate.
Certo che la fata che suona il violino è molto ispirata. La prima volta che la incontro glielo dico.
Nei ricordi sbiaditi dal tempo, cm 60x50.
Nei ricordi sbiaditi dal tempo
c’è un villaggio lontano
dove le notti non finiscono mai
e sembra che sia sempre festa.
Anche se c’è la neve
l’aria che respiri
è tiepida come una sciarpa di lana
e profuma di zucchero filato
o di cannella
proprio come piace a te.
Nella piazza gira la giostra
guarda il cavallino bianco
non andare via
vedrai che passa ancora
ecco, vedi, è ritornato
salutalo con la manina
lui è il cavallino del re
e vive nelle favole dei bambini
ma anche nei sogni della gente
quando va a dormire stanca
e ha quasi paura a pensare a domani.
Galoppa cavallino
non fermarti mai
la giostra gira gira
e un vecchio grammofono
suona un valzer allegro
con brio.
Galoppa cavallino
sotto il chiaro della luna
come è bella la luna
galoppa galoppa
se chiudi gli occhi
comincerai a volare.
Fata che veglia sul villaggio, cm 60x50.
Silenzio.
Il carillon non suona più
e la ballerina dorme
avvolta nel suo vestitino di tulle bianco.
Dormono le rose accarezzate dal vento
le scatolette con le medicine
i dischi vecchi
i libri lasciati sul comodino.
Dormono anche i gatti.
La notte abbraccia ogni casa del villaggio
e tutte le cose che ci sono dentro
le anime buone
quelle cattive
i ricordi
le solitudini
le paure
i profumi e i rossetti
gli album con le fotografie
di quando la gente era giovane.
Silenzio.
Una fata veglia sul villaggio
e resterà lì fino all’alba
per tenere lontani i buchi neri
quelli che già non abitano nei nostri cuori.
Bambola che ci salva dagli incubi, cm 30x40.
Arrivano all’improvviso
come insetti gonfi di veleno
si divertono se abbiamo paura
se ci viene da piangere
perché nessuno ci aiuta.
Entrano dai camini
dalle finestre dimenticate aperte
insieme alla neve che cade
oppure strisciano sotto le porte
come nebbie di ammoniaca.
Sono gli incubi
cattivi
spettinati
sporchi
gelidi
appuntiti come schegge di vetro
luccicano quando c’è la luna
ci riempiono di buchi le coperte
ci fanno entrare addosso
anche i più brutti rimorsi che avevamo nascosto.
Poi
una musica lontana
o il vento che soffiava
o i gatti che hanno fatto cadere qualcosa
o chissà
forse una bambola che ha gridato.
C’è ancora buio
guardiamo che ora è
è presto
è ancora presto
ma come mai svegliarsi adesso
non ricordiamo bene
e rimane solo
un vago sapore di inquietudine.
La fata bella come la primavera, cm 60x30.
A volte
da dietro le montagne
il vento trasporta le solitudini del mondo
e i sorrisi perduti nelle paludi del tempo
foto sbiadite di quello che eravamo
prima che la nebbia ci avvolgesse
e ci trasformasse in polvere
noi, le nostre carte d’identità
le nostre ossa e i nostri sogni.
Anche la luna piange.
e si nasconde dietro le nuvole
pallida
come ricordi che svaniscono nella memoria.
Poi, una notte di marzo
all’improvviso una musica dolce
e una fata bella come la primavera.
Ci sono posti lontani
dove l’aria profuma di rose
e la luna risplende sui sospiri della notte
e sui sogni del mondo.
Il sogno di Merlino, cm 50x60.
Merlino era il nome
di un uccellino caduto dal nido.
Per tredici giorni
la sua casa è stata una scatola di cartone
riscaldata da batuffoli di cotone.
Poi, un vento troppo freddo e troppo crudele
ha spezzato le sue fragili ali.
Ora Merlino dorme.
E sogna.
Sogna di volare
sino in cima alle montagne
vicino alle nuvole bianche,
sogna di guardare la luna
e di offrirle il suo flebile canto.
Sogna, sogna ancora Merlino.
La notte è lunga e magica.
Il villaggio ai confini del mondo, cm 60x80.
C’è un villaggio ai confini del mondo
dove il tempo si è fermato
e anche se la luna è un po’ stanca
le notti non finiscono mai.
Nessuno sa bene come trovarlo
se è lontano lontano
o se invece è dentro ad ognuno di noi
in un angolo dell’anima
dove c’è una fioca luce che credevamo spenta.
C’è un villaggio ai confini del mondo
dove il tempo restituisce i giorni passati
le primavere consumate
e noi possiamo ritornare ancora bambini.
Noi, quelli delle vecchie fotografie sbiadite
con i nostri vestitini corti
con la voglia di ridere per niente
di giocare a palle di neve
e poi di andare a dormire coi gatti.
C’è un villaggio ai confini del mondo
dove è sempre festa
ci sono le scatole di latta arrugginite
le figurine degli angeli con i brillantini sulle ali
le matite colorate.
Ci sono le persone che abbiamo amato
e che erano andate via
quando il tempo correva e faceva paura.
Le torri del tempo, cm 60x80.
Ci sono posti segreti, in cima alle montagne
dove il tempo gioca con il vento
e le nuvole scivolano via lontano
come ricordi perduti
come l’eco
di voci che non ascolteremo più
come sogni confusi nelle nebbie.
In questi posti, che sono più vicini a Dio
ognuno di noi ha la sua torre del tempo
a volte fatta di dura pietra
a volte soltanto di cartone colorato.
Facciamo fotografie
per fissare attimi
che altrimenti si scorderebbero di noi
e intanto il tempo ci abbandona
come una luce che si spegne sui nostri volti.
Fata che voleva fare il bagno, cm 50x70.
Certe notti
quando la luna è stanca
i buchi neri urlano nel cielo
e soffiano così forte
da piegare le montagne
accartocciate come fogli di carta
o come anime perdute
trafitte da chiodi arrugginiti.
In queste notti
bisogna stare molto attenti
e chiudere le porte delle case
e non guardare mai cosa c’è fuori
anche se senti bussare
o se ti sembra di sentire un canto.
Questa è una storia
che è accaduta in una notte di febbraio
mentre una fata voleva fare il bagno
una fata tenera e bellissima
dolce come il miele
proprio come piace ai buchi neri.
Questa è la storia di una fata distratta
che voleva specchiarsi nelle acque del lago.
(Nel quadro non si vede, ma per fortuna la fata non è stata divorata dal buco nero. Infatti si racconta che è riuscita a trasformarsi in una rosa e il vento l’ha sospinta lontano, al di là delle montagne.)
Natale nel villaggio, cm 80x70.
Oggi non ho una storia interessante da raccontare. Nel villaggio ai confini del mondo tutto è sempre come prima e le notti trascorrono serene. Posso soltanto dire di una bambola alla finestra, preoccupata perché non trova più uno dei suoi due gattini. Ma andrà tutto bene, come si dice nel nostro mondo. Il gattino scomparso è sotto casa e sta giocando con una pallina caduta dall’albero addobbato. Poi sentirà il miagolio del fratellino, anche lui affacciato a una finestra per cercarlo, e salirà le scale.
Eh sì, il villaggio ai confini dal mondo è diverso. È fatto di buoni pensieri, di speranza, di amicizia, di fratellanza, di amore.
Bisogna solo stare attenti ai buchi neri che scivolano nel cielo. Loro sono pericolosi e sempre affamati. Soprattutto sono ghiotti dei nostri cuori. Ce li strappano con quei loro denti lunghi e affilati. Poi li divorano e così la gente diventa malvagia, a loro somiglianza.
Bisogna temere le ombre cattive, che nascondono ai nostri occhi i preziosi gioielli della vita. Soprattutto la luce che abita nelle nostre anime.
Eh sì, il villaggio ai confini del mondo è davvero diverso. Ci sono le fate che vegliano su di noi e che ci regalano sorrisi e carezze. Ogni tanto mi sembra di riconoscere alcune di loro. Allora le dipingo e sono contento.
Cari amici, è quasi Natale e nel villaggio tutto è sempre splendidamente come prima.
Qui no. Qui tante cose vanno male. Tante cose non si possono fare. In tanti posti non si può andare. Tante persone non si possono incontrare. Pazienza. Ci vorrà ancora pazienza.
Allora a Natale andrò nel villaggio ai confini del mondo. A giocare con la neve, come il bambino che ero. Andrò con una lanterna a cercare il muschio e i pezzetti di legno che servono per il presepe. Andrò a vedere se il gattino è scappato ancora e se lo trovo lo scalderò col respiro e poi insieme saliremo le scale.
Scusate se oggi non avevo una storia interessante da raccontare.
Il bosco delle bambole rotte, cm 60x80.
Le bambole rotte non profumavano di rose
e la polvere si adagiava sui loro capelli
sui vestitini macchiati
sui ricordi sbiaditi di giorni lontani
quando non erano mai stanche
e abitavano nei sogni più belli
sotto una coperta di lana
in un abbraccio d’amore.
Le bambole rotte erano sporche di rossetto
e di solitudine.
Ma pensa che strano
non si trovano più
erano lì sino a ieri
o forse è passato più tempo, chissà.
Le bambole rotte sono andate via
con i cuoricini che battevano forte
e le lacrime che scendevano adagio
e si mischiavano alla pioggia che cadeva.
La loro casa adesso è un bosco
e non fa niente se non c’è il tetto e neanche la porta
quando la luce sale dietro alle montagne
si sentono gli uccellini cantare
e quando viene la notte
c’è sempre una fata che dorme vicino
e loro sono ancora piccole principesse
di porcellana
o di pezza
o di polvere di stelle.
Permette un ballo?, cm 50x60.
A volte, certe notti, come un gelido vento venuto da lontano, il tempo penetra nei nascondigli della nostra mente e ci porta via i ricordi che amavamo, le parole che ancora non avevamo detto, i desideri che ci facevano sorridere, le tracce di quello che eravamo.
Poi i nostri pezzi ruotano nel cielo come coriandoli impazziti, o insetti meccanici, o macchie di solitudine. Oh, come sono tristi queste notti! E com’è perfido il tempo, sempre lì appollaiato sulla schiena, sicuro che troverà indizi di cedimenti, così potrà scavare ancora dentro di noi.
Noi però non dobbiamo avere paura del tempo. Soltanto dobbiamo costruire barricate più resistenti, stanze più sicure. Però adesso dormiamo, perché appena sarà mattina rimetteremo a posto tutte le nostre cose. Se cercheremo bene ritroveremo tutto. Noi non siamo luci che si spengono per un po’ di vento. E poi, sapete, già si respira aria di primavera, di nuova vita. Guardate la fata del villaggio. Di sicuro lei non teme il tempo. Pare invece che abbia voglia di danzare. Signorina fata, permette un ballo?
Di nuovo primavera, cm 50x50.
Quando arriva la primavera
le fate fanno le vanitose
e non appena la luna illumina le montagne
all’improvviso appaiono qua e là
belle
come i fiori che hanno voglia di sbocciare
come i sorrisi che colorano le notti
come quei sogni che credevamo perduti.
Così, mentre il tempo fugge,
l’eco porta lontano
i pensieri che affidiamo al vento
e siamo quasi felici
e sembra che anche domani
sarà ancora domenica.
Itala, cm 70x100.
Come un fiore che appassisce
tutto ha iniziato a finire,
a contorcersi e inaridirsi
sino a diventare polvere.
Che silenzio che c’è.
E che fredde certe notti.
Noi ci nascondiamo
a piccoli gruppi qua e là
e siamo così spaventati
che nemmeno ci accorgiamo
che abbiamo consumato il tempo
passo dopo passo
increduli se scorgiamo l’abisso
ancora ignari di calpestare
le nostre illusioni e le speranze.
Non fanno più rumore
i giorni perduti
di quando eravamo cacciatori
e scattavamo fotografie
per ricordare attimi
che altrimenti
si sarebbero scordati di noi,
i giorni frantumati
di quando riempivamo i cassetti
con libri di poesie e canzoni d’amore
imparate a memoria
sicuri di non dimenticarle mai.
Come un fiore che appassisce
tutto ha iniziato a finire,
a contorcersi e inaridirsi
sino a diventare polvere.
Le parole che avete letto le ho dedicate a Signora Itala, la scultura lignea ricavata da un tronco di olmo, già morto, dal potente scultore Davide Balossi nel non lontano 2016. L'opera è stata realizzata nel corso di una manifestazione chiamata “Artidirami” e si trova presso il parco Itala (per l'appunto) in località Osio Sotto (Bergamo). Lo stato di conservazione della meravigliosa scultura è abbastanza preoccupante. Io stesso ho spezzato il ramo di un arbusto vicino, che era penetrato vigorosamente nella cavità che si era formata sul retro della testa e che minacciava imminenti e pesanti danni. Nel frattempo avevo chiesto informazioni ad Enti e Associazioni locali per raccogliere più notizie possibili su Itala. L'ho incontrata per caso un pomeriggio d'estate, girando in bicicletta nel Basso Parco del fiume Brembo. È stato amore a prima vista, tanto che sono ritornato molte volte a rivederla. Le informazioni che ottenni dicevano, tra l'altro, testualmente che «l'intento delle opere realizzate durante “Artidirami” era quello di creare opere d'arte effimere, che nel tempo si sarebbero trasformate e sarebbero rientrate di nuovo a far parte del ciclo della vita nel bosco». Il concetto, appoggiato da tutti gli artisti intervenuti, era evidentemente affascinante. Ed ha affascinato anche me, sia pure io resti enormemente addolorato per la fine segnata che avrà la Signora Itala. Ma questa è la vita e, anche se siamo tentati di nasconderci per non farci sorprendere dal Babau, la fine segnata l'abbiamo anche tutti noi. Possiamo solo sperare che il nostro personale nastro d'arrivo sia ancora parecchio lontano.
Intanto Itala, previo preventivo e gentilissimo assenso dello scultore, è entrata a far parte anche del mio mondo immaginario. Ce la vedo bene, come sentinella, come confidente, come presenza e anima amica, magari a mostrare il percorso meno irto di ostacoli e meno pericoloso, magari a raccontare una fiaba, magari soltanto a fare un sorriso e a dire “arrivederci”.
Fata che conserva i ricordi, cm 50x60.
Ci sono posti, negli anfratti del tempo, dove sono custoditi i ricordi del nostro passato: gli odori umidi di una cantina, la camicia beat coi disegni delle rose, l’altalena nel solaio. E poi, ancora, i nascondigli per i ritagli dei giornali a colori, il tirasassi per colpire le lattine, il quaderno dove trascrivere i sogni della notte.
Chissà se niente è andato perduto, se tutto è in ordine, se c’è un elenco per ciascuno di noi, o se invece siamo noi e non il tempo, a perdere le cose.
E chissà se invece non siamo proprio noi a buttarle via, magari per fare posto a nuovi giga, freddi e senza emozioni.
Si sa che qualcuno ha una gomma blu e arancione proprio per cancellare i ricordi che gli piacciono di meno. Purtroppo però capita sempre che si calca così forte che si fanno i buchi dentro il cuore.
Si sa che altri trascorrono i giorni annotando ogni frammento della propria memoria. A questi però succede che la vita rimane impigliata negli anni che furono. Non escono mai di casa e diventano vecchi così tanto che più nessuno sarebbe capace di riconoscerli neanche se li incontrasse per davvero.
Si sa che altri ancora tengono una specie di contabilità e per ogni ricordo nuovo lasciano sparire il più vecchio. Il problema però è che con questo sistema non si tiene più in considerazione la diversa importanza: un conto è dimenticare quella volta che ci si è svegliati tardi, un conto è dimenticare cose del tipo il primo bacio ad una festa di compleanno.
Insomma, pare che non ci sia una soluzione senza controindicazioni. O forse sì, ma vale soltanto per chi ancora crede a quello in cui credeva quando era bambino.
Se anche tu sei fra queste persone fortunate, allora di sicuro sai già che per non perdere nessun ricordo li devi soffiare tutti nel regno della fantasia.
Lì, vicino al villaggio ai confini del mondo, c’è un luogo speciale, lungo un sentiero che ti porterà in cima alle montagne. Lì troverai una fata, seduta ad aspettarti e lei saprà restituirti ogni ricordo che ti piacerebbe ancora rivivere: una battaglia a palle di neve con le sorelline, la magia di quando si teneva una lucciola fra le mani, il primo libro comprato in edicola.
Se volete, provate anche voi a fare la lista dei momenti che vorreste vivere ancora.
Nelle notti di vento, cm 40x30.
Nelle notti di vento
quando le nebbie delle solitudini
sono fuggite via lontano
la luna sale da dietro alle montagne
e all’improvviso illumina il castello.
Le fate cominciano a giocare
ballano cantano non si stancano mai
e se è domenica
o l’anniversario di qualcosa
si mettono i fiori nei capelli
e fanno le vanitose.
Se qualcuno le vede
(ma questo accade molto raramente)
cancellano le impronte lasciate nella neve
e fanno finta di essere una statua.
Poi ridono di nascosto
e mentre ritorni nel villaggio
senti che chiamano il tuo nome.
Fata che sconfigge i brutti presentimenti, cm 50x40.
Succede, è successo, succederà.
Forse di notte
nel silenzio di una stanza
mentre fuori nevica
sulle pallide ombre di certezze perdute
sui frammenti delle solitudini del mondo
sulle impronte di gatti randagi.
L’impressione che capiti qualcosa
ci bucherà la pelle come un ago arrugginito
e brucerà i nostri fragili sogni
e i desideri ormai sbiaditi
e disperderà nel vento
ceneri nere che sporcheranno la neve.
Poi, all’improvviso
la luna illuminerà ancora le montagne
si sentirà il profumo delle rose
e i cattivi pensieri
si nasconderanno qua e là
nelle pieghe di un nuovo giorno.
Poi arriva il gatto, cm 60x50.
Ci sono notti che ci sentiamo interrotti
come aquiloni senza più vento
orologi frantumati
musica che tace nel frastuono del silenzio.
Chissà se sono solo cattivi pensieri
o se invece
abbiamo perso qualcosa che ci scaldava il cuore
o se abbiamo paura di quello che arriverà domani.
Così scrutiamo il buio davanti a noi
e cerchiamo di capire cosa abbiamo visto
o forse
cosa ci è solo sembrato di vedere
dentro alla fitta nebbia
che avvolge il villaggio nel suo gelido abbraccio.
Poi arriva il gatto.
Rimane lì come una statua
illuminato dalla luna che entra nella casa
dice che si può stare tranquilli
perché lui vede tutto bene
il giardino con le rose ancora in fiore
le montagne con le punte bianche di neve
i sogni della gente che volano in cielo
e le fate che fanno il girotondo fra le nuvole.
Sabrina, cm 35x45.
Prosegue con infinito piacere il mio omaggio pittorico alle amiche poetesse.
Il dipinto di oggi ritrae una poeta laureata in Filologia moderna all'Università di Pavia, che ha esordito nel 2015 con la raccolta “Frammenti d'aria e grafite”. È invece del marzo scorso la pubblicazione, a cura di CartaCanta Editore, di “Vuoto frontale”.
La poesia di Sabrina è elegante, snella, consapevole, autentica e testimonia come l'anima possa sanguinare, senza fare rumore.
Questa sua ultima raccolta è una sorta di apoteosi del dolore, sottile, pungente, inconfutabile, un dolore che non offre scampo ma solo silenzi e che vaga attonito attraversando spazi freddi e vuoti che diventano contenitori da riempire con la propria sofferenza.
Qui di seguito trascrivo una poesia tratta dall'ultimo suo libro. È una poesia che, assai sorprendentemente, sembra presagire la visione del dipinto col quale ora si è unita.
Ci perdiamo in ogni dettaglio
nel filo bianco di calcare
che muore sul cuore
le punte delle montagne aggrappate
al respiro del cielo.
Anche questo silenzio
si ritaglia il suo spazio
assorbe il peso perfetto dell'azzurro.
A volte amiamo così tanto la vita
da non poterne più fare a meno.
Fata che ascolta le anime, cm 70x100.
Il tempo scivola sopra di noi
come una nuvola sospinta dal vento
senza stancarsi mai.
Da lontano arriva l’eco di una musica rock
e ancora si vedono piccoli bagliori aggrovigliati
prima che si disperdano come fuochi fatui
nel cielo di questa lunga notte d’inverno.
La luna si è distratta
e si è fermata a illuminare le montagne
e il castello ai confini del mondo.
Una fata ascolta le anime
che non riescono a dormire
e fanno tante domande
cosa sarà di me
dimmi se lo sai
ma sei sicura
allora dovrei dimenticare
dove mi sono persa
chi sta urlando nel buio intorno a me
o non chiedono
per la paura di sapere
o implorano di avere ancora tempo.
Tempo sì, ancora
come se il tempo fosse infinito
e invece nel cielo sopra di noi
lui scivola adagio ma non si ferma mai
e non si stanca mai di inseguirci.
Jane B, cm 30x40.
Quando, dopo un lungo silenzio, venne pubblicata una sua nuova raccolta di canzoni, Jane Birkin disse che l’album l’aveva salvata da una vecchia ferita e che l’aveva liberata dalla malinconia e dall’inerzia. Ecco, pur nei modesti limiti delle mie possibilità, nel mio piccolo, insomma, il desiderio di ritrarre la Birkin ha scosso anche la mia di inerzia e mi ha riavvicinato alle mie amate abitudini e di conseguenza alla pittura. Non lo so quanto durerà questa parentesi, non dipende da me, ma dalle vecchie ferite e da quelle nuove, temute. Nel frattempo ho provato a cancellare la malinconia con una gomma e per il momento la traccia non si vede più.
L’estate se l’è portata via la Jane. L’ha strappata ai suoi cari, ai mondi dell’arte canora e recitativa, ai fans, a tutti quelli ai quali la sua voce aveva allietato una serata, spruzzandola con briciole di magia. L’ha strappata anche a me.
Negli anni, di lei avevo collezionato molti film, innumerevoli cd musicali e 45 giri e tutti i libri che ha scritto. L’ultima bellezza arrivata è il film (opera prima) girato dalla figlia Charlotte Gainsbourg, dal titolo Jane, by Charlotte. Sul retro di copertina del DVD ho letto che il film è “il ritratto umano e commovente di un’icona senza tempo”. È stato allora che ho pensato che nel mio molto piccolo, anch’io avrei provato a dipingere un suo ritratto.
Ho utilizzato una foto del 1975, con una Jane ventinovenne. Non ho trovato l’autore della foto, scatto che peraltro appare su vari siti internet. Ho visto tuttavia che vi sono altre immagini, firmate, che fanno parte dello stesso set e presumo quindi che il fotografo sia Giancarlo Botti, che è doveroso citare.
Nella valle delle cose perdute, cm 50x40.
C’è una valle lontana
dove il vento trascina le cose perdute
i sogni strappati
le parole non dette
i sorrisi cancellati dal tempo.
Quando è notte, ogni notte
nella valle delle cose perdute
una fata ricopre di neve
i frammenti delle nostre solitudini
pezzi attorcigliati
che affiorano come ossa
o insetti meccanici
o accumuli di rimorsi
illuminati dalla luna.
Così, anche stanotte
la fata con gli occhi tristi
volerà nella valle e pulirà tutto bene.
Così, domani
ci sveglieremo felici
o ci sembrerà di essere felici.
Federica, cm 30x45.
Ritratto dell'amica poetessa Federica Ziarelli per la quale avevo già avuto il piacere di scrivere alcune riflessioni a proposito della sua ultima raccolta, “In Erba”. Ora il piacere è stato quello di cercare di trasferire sulla tela almeno una parte della sua luminosità, non soltanto esteriore. Mi piace qui di seguito farvi leggere una sua breve, ma deliziosa composizione.
Con il pastello bianco
tempestavo il buio di stelle.
Invece della noia
cominciai a disegnare
qualcosa.
Faceva più chiarore.
Nei nostri più intensi desideri, cm 50x60.
A volte, nei nostri più intensi desideri,
vorremmo cancellare
le cose che ci hanno fatto male.
I silenzi
le dimenticanze
le incomprensioni
le promesse imbrigliate nel vento.
Le ansie e le paure
i dubbi e le certezze
le attese insonni
le notti che non passavano mai.
A volte, vorremmo buttare via proprio tutto
senza che ne resti traccia
o almeno
riuscire a nascondere ogni cosa
come fa la prima neve d’autunno
quando imbianca le montagne
e il villaggio ai confini del mondo.
Fiocca la neve fiocca
mentre da lontano
arriva il tintinnio di un carillon.
Dormi piccino dormi
niente e nessuno ti sveglierà.
Siamo ancora qui, cm 50x60.
Succede a volte che ci si perda
senza sapere dove
e perché
sia capitato proprio a noi
che avevamo mille cose da fare
e da quanto tempo
i buchi neri ci stavano inseguendo
così discreti e silenziosi
truccati come quando si va a una festa
pieni d’appetito
e con tanta voglia di mangiarci.
Infami. Bastardi.
Succede che siamo ancora qui
e non fa niente
se tutte le mattine
ci stropicciamo gli occhi
guardinghi e circospetti
e se lo specchio
riflette facce vecchie e stanche.
Siamo ancora qui
e se guardate bene
ci leggerete anche un sorriso.
Uscendo dalla tana, cm 60x50.
Ci sono posti segreti dove la gente si va a rifugiare. C’è chi lo fa per paura di qualcuno o qualcosa, chi soltanto per riposare, chi per sognare, chi per non far vedere che deve piangere, chi perché nasconde cose di cui vergognarsi e si illude che la vergogna possa così affievolirsi. Per quanto io sappia, questi rifugi esistono in ogni parte del mondo anche se a volte sono così abilmente mimetizzati che non se ne trova traccia e si direbbe siano soltanto frutto di leggende tramandate nel tempo. I posti segreti non sono tutti uguali. Ce ne sono di piccini piccini e di faraonici, di maleodoranti e di accessoriati con ogni comodità. Qualcuno dispone persino di camini per riscaldarsi nelle notti più fredde. I rifugi possono essere grotte, ripostigli che non si usano mai, cantine di condomini, capanne nei boschi, buche nella terra. Mi sembra però che l’ultima opzione faccia pensare a circostanze definitive e tutt’altro che allegre. La scelta, tuttavia spesso obbligata, di dove creare il proprio rifugio presenta sicure implicazioni, ad esempio per i rumori molesti che possono provenire dall’esterno, per il pericolo di sfratti o, peggio ancora, per il rischio che il rifugio venga notato da persone poco perbene. C’è anche chi cerca un rifugio per fuggire a se stesso, ma questi sono casi davvero tristi e comunque penso che non sia possibile raggiungere lo scopo prefissato. Infine, c’è chi, come ho fatto io, ha costruito la sua tana scavando nei labirinti della propria mente, anche se l’impegno è risultato complesso e se a volte il rifugio si presenta estremamente fragile ed in balia delle ombre cattive che ogni tanto vengono a bussare. In questo quadro però non ho dipinto il rifugio, perché altrimenti avrei dovuto realizzare un quadro un po’ troppo astratto. Così ho dipinto quello che vedo uscendo dalla tana, che, come avrete capito, è un posto segreto immaginario che si trova nel mondo della fantasia. Appena fuori ci sono alcuni massi enormi che di solito si spostano da soli quando mi chiudo dentro. Poi ci sono le montagne imbiancate dalla neve e soprattutto c’è la luce della luna. E la luce è vita e speranza. Ma ditemi, il vostro posto segreto dov’è?
Le luci accese, cm 50x60.
A volte, nei ripostigli della mente
troviamo spazi vuoti e senza più un volto
senza più voci
senza più colori.
Allora ci alziamo e andiamo a accendere le luci
e poi cerchiamo dappertutto
fra i maglioni che si sono rovinati
nelle scatole di latta con le fotografie
fra le pagine dei libri
nelle nebbie che hanno avvolto i nostri cuori.
Niente, non si trova più niente
niente delle promesse sussurrate
dei visi tanto cari
del profumo di muschio e mandarini
e dei canti dei bambini quando arrivava Natale.
Poi, d’improvviso
ci sembra di sentire una musica lontana
e nelle strade del villaggio
si rincorrono i ricordi che si erano perduti
saltellano di gioia
ci chiamano per nome
picchiettano festosi sulle finestre delle case
proprio come fanno i sogni più belli.
Niente, non abbiamo mai buttato via niente
è solo che siamo diventati un poco vecchi
e ogni tanto confondiamo la neve con la polvere del tempo
e servono pensieri d’amore
per vedere bene nei ripostigli della mente.
Fuori c’è solo un gatto bianco
e pare che ascolti i fruscii del vento.
Il bosco delle ombre cattive, cm 60x80.
Ci sono luoghi, sulle montagne ai confini del mondo, dove i fiori non crescono mai e dove il male attende pazientemente gli incauti viandanti.
Ma non abbiate paura. Sono luoghi circoscritti, come ad esempio gelide grotte scavate sotto la neve, o precipizi senza fine oppure certi boschi dove i tronchi degli alberi crescono contorti e aggrovigliati, tanto che alcuni sembrano serpenti. In questi posti, nascoste dietro ai massi, di solito ci sono orribili creature, con i denti aguzzi, gli occhi rossi e le zampe sempre pronte ad afferrare chi passa vicino.
Questo quadro raffigura uno di quei posti, un bosco abitato dalle ombre cattive.
Per fortuna però, nel mondo immaginario si possono inventare tante cose, come i rami che non metteranno mai foglie e così non spargeranno altro seme o come la luce della luna che costringe le infami bestiacce a celarsi nelle loro stesse ombre, o come una fata che vola su in cielo e che, senza timore, offre il suo petto agli strali del feroce buco nero, in segno di sfida.
Quindi mi sembra che il quadro sia meno inquietante di quanto non lo sia il mondo reale.
E, a pensarci bene, mi sembra anche che sia meno inquietante di quanto lo siano tanti di noi, specialmente quelli che si illudono o fanno finta che il male non abiti nei loro cuori.
Chissà. In giro si sussurra che un posto così lo abbiamo tutti dentro di noi. Magari piccolo piccolo come questo qua, a volte tanto minuscolo che quasi quasi ce ne dimentichiamo. Ma invece il male non ci abbandona mai ed anche quando sembra inerme è pronto a sorprenderci, proprio come fanno le ombre cattive con le fate, se non stanno attente.